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Fra Cristoforo

Un personaggio cremonese nei Promessi Sposi

 

Il cosiddetto “Fra Cristoforo”  è considerato uno dei personaggi principali presenti ne “I promessi sposi”, celebre romanzo di Alessandro Manzoni (1785/1873). Citato sin nelle prime varie stesure dell’autore, dalla prima dal titolo “Fermo e Lucia” del 1821, la cosiddetta “ventisettana” dell’anno 1827, “Gli sposi promessi”, la quarantana ed altre.

Descritto col nome di Lodovico prima della vocazione, in Fermo e Lucia “Il padre Cristoforo da Cremona” “….andava egli un giorno per la via di Cremona” così come si ritrova ne Gli sposi promessi, fino all’edizione finale dove tali indicazioni sono sostituite da asterischi.

Descritto da Manzoni come un uomo di “circa sessant’anni” lo scrittore non fornisce ufficialmente alcun cognome a questo personaggio, quel Padre Cristoforo divenuto e riconosciuto ormai come protagonista morale e spirituale dei Promessi sposi.

Come cita il romanzo, grazie alla fortuna paterna e dopo essersi scontrato con un nobile e averlo ucciso in un duello provocato da futili cause, si rifugia in un convento di Cappuccini della sua città; da quel momento prende avvio un processo di conversione e vocazione che lo porterà a chiedere di essere accolto come postulante al convento stesso dove si è rifugiato. Diviene poi nel romanzo uno dei frati cappuccini del convento di Pescarenico, padre confessore di Lucia e impegnato ad aiutare i due promessi contro i soprusi di don Rodrigo, non sempre con successo.

La pubblicazione nel 1827 dei Promessi Sposi del Manzoni provocò da subito al di là della trama un acceso dibattito sulla storicità o meno dei personaggi contenuti nel romanzo, dove in particolare per Fra Cristoforo nella prima edizione del Fermo e Lucia non vengono taciuti i suoi natali cremonesi, legati alla figura realmente esistita di Padre Cristoforo da Cremona.

Numerosa storiografica si è occupata nel tempo di studiare e approfondire l’origine dei vari personaggi del romanzo ed in particolare quella legata alla figura di Fra Cristoforo ha visto in tempi recenti confermare numerosi elementi e tesi in proposito, a confutare innanzitutto l’esistenza del personaggio e i suoi natali cremonesi nella persona di Ludovico Picenardi.

Figlio di Giuseppe Picenardi e della nobildonna Susanna Cicolani, venuto alla luce nel 1568, battezzato il 5 dicembre presso la Cattedrale di Cremona, la sua origine era legata all’antico ed illustre casato, tramite il padre discendente dal ramo cadetto di Pellegrino Picenardi, la cui famiglia sin dal XVI secolo aveva vaste proprietà nel territorio di Torre de’ Picenardi e nel cui albero genealogico erano stati presenti diversi religiosi, fra cui in particolare alla metà del ‘400 la Beata Elisabetta Picenardi del terz’ordine dei Servi di Maria. Dopo gli studi di Giurisprudenza a Bologna, il giovane tornò a Cremona dopo la morte del padre per gestire l’ingente patrimonio famigliare, conducendo una vita particolarmente agiata.

Come già ricordato viene descritto come un uomo di “circa sessant’anni” dal Manzoni, il che corrisponde con esattezza alla data di battesimo del vero Ludovico Picenardi cremonese.

Il famoso duello del romanzo avvenne nella realtà presumibilmente nella zona dell’attuale piazza Filodrammatici a Cremona, dove si trovavano rispettivamente uno dei palazzi della famiglia Picenardi nonché quello della famiglia avversaria degli Ariberti. Da quel duello scaturì poi la conversione nonché la vocazione presso il convento, anch’esso realmente esistito, dei Frati Minori Cappuccini di Cremona, che a quel tempo si trovava nell’attuale via Mantova, angolo via Cappuccini.

Con l’avanzare della peste Fra Cristoforo chiese ed ottenne di essere assegnato al lazzaretto di Milano, come riportato da diverse cronache coeve, fra cui quella di Pio la Croce ed inoltre dai frati sopravvissuti, riportanti la presenza di un certo frate cappuccino “Padre Cristoforo Picenardi da Cremona” poi morto di peste nell’anno 1630 come riportato anche nel romanzo, nel lazzaretto di Milano.

Felice e fortuita coincidenza fu anche che alla metà del XIX secolo, la famiglia Picenardi, nel frattempo divenuta Sommi Picenardi, strinse un rapporto di stretta e sincera amicizia con i Manzoni il cui capofamiglia era proprio “l’inventore “ del loro illustre antenato cappuccino.

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